Carissimi, a seguito dell’entrata in vigore della Legge di Bilancio 2023, ci ritroviamo per l’ennesima volta di fronte a un impoverimento delle nostre pensioni: come certamente saprete, le disposizioni prevedono per il biennio 2023-2024 una revisione solo parziale delle percentuali di indicizzazione dei trattamenti pensionistici, con un tasso di rivalutazione più basso man mano che l’assegno aumenta.
La Manovra colpisce, quindi, ancora una volta, il ceto medio e lo fa in modo pesante, danneggiando chi ha una pensione frutto di anni di lavoro e contribuzione. Questo non lo possiamo accettare e, come abbiamo sempre fatto, siamo intervenuti e continueremo ad agire in difesa dei nostri pensionati.
Ci sono azioni di contenimento che abbiamo operato per evitare che le decisioni fossero peggiori di quelle prese e ci sono azioni che intendiamo perseguire nel prossimo futuro per annullare o per mitigare l’impatto di quelle disposizioni.
Procederemo su più piani paralleli, nell’auspicio che sia forte anche la vostra determinazione a supporto di queste iniziative. Nulla potremmo realizzare se non grazie al contributo di ciascuno di voi.
Ecco, in sintesi, le attività che intendiamo realizzare:
- Da qualche giorno ho dato mandato a un primario studio legale di predisporre un parere in merito alle possibili azioni da intraprendere sulla via giudiziaria. In base alle prime indicazioni ricevute mi sento fiducioso nel ritenere che ciò che è stato approvato in Manovra possieda più di un elemento di criticità. Innanzitutto, il carattere non temporaneo dei meccanismi di blocco, che vengono reiterati ormai da anni; in secondo luogo, l’assenza – nella relazione tecnica allegata al disegno di Legge finanziaria – di una valutazione legata al miglioramento dei saldi di bilancio direttamente conseguenti al risparmio di spesa. Tali criticità potrebbero dunque costituire il presupposto per un rinvio alla Consulta che avverrebbe partendo da cause pilota presso Tribunali ordinari.
- Il 16 dicembre scorso ho annunciato, nel corso della riunione online organizzata per discutere delle scellerate novità introdotte, la necessità di perseguire anche nelle azioni dimostrative. Stiamo pertanto vagliando l’opportunità di predisporre una petizione che sia ineccepibile dal punto di vista legale e incisiva nei confronti del decisore e dell’opinione pubblica. Anche su questo sarà mia cura aggiornarvi con un dossier più dettagliato rispetto a modalità, tempi e tecnicalità della petizione.
- Infine, insieme agli altri Presidenti, ho convenuto sull’opportunità di allargare il più possibile l’alleanza con altre associazioni di rappresentanza di pensionati, al fine di attuare un vero e proprio “fronte comune” per contrastare disposizioni di questo tipo.
Questa strategia è tesa a bloccare le azioni di chi si dimentica che le nostre pensioni sono state già sostanzialmente erose dagli effetti negativi dei passati blocchi della perequazione (senza contare i contributi di solidarietà), nonostante esse rappresentino il frutto di carriere fondate su impegno, responsabilità e risultati: valori a cui tutti si richiamano salvo poi decidere di penalizzarle con grande facilità.
Ma noi, come in passato, non lasceremo nulla di intentato. Da sempre ci siamo opposti a disposizioni di questo tipo raggiungendo dei riscontri che hanno avuto il pregio di porre quanto meno un freno alle azioni dei vari governi. Fra i tanti risultati ricordo:
- la sentenza n. 316/2010 della Corte costituzionale che aveva “indirizzato un monito al legislatore poiché la sospensione a tempo indeterminato del meccanismo perequativo, o la frequente reiterazione di misure intese a paralizzarlo, entrerebbero in collisione con gli invalicabili principi di ragionevolezza e proporzionalità” affermando che “le pensioni sia pure di maggiore consistenza, potrebbero non essere sufficientemente difese in relazione ai mutamenti del potere d’acquisto della moneta”.
- La sentenza n. 70/2015 della Corte costituzionale che aveva ritenuto fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 24, comma 25 dl 201/2011, sul presupposto che l’azzeramento del meccanismo perequativo, contenuto nella norma censurata, perché intaccava i diritti fondamentali connessi al rapporto previdenziale, fondati su parametri costituzionali quali la proporzionalità del trattamento di quiescenza, inteso quale retribuzione differita.
Nel 2018, l’azione di CIDA è riuscita a:
- far accantonare il progetto di legge D’Uva/Molinari che, prevedendo un ricalcolo sulla base dell’età anagrafica di pensionamento, sarebbe stato molto punitivo;
- far alzare la soglia del tetto per il contributo di solidarietà da 90 a 100 mila euro annui lordi riducendo così la platea interessata;
- ottenere, per le pensioni degli associati, un minimo di adeguamento al costo della vita: si stava infatti affermando l’ipotesi di non prevedere alcuna perequazione per i trattamenti medio-alti.
Nel 2019, le nostre azioni contro i dettami della Legge di Bilancio non sono riuscite ad annullare i provvedimenti, ma sono state fondamentali per mitigarne l’impatto, almeno in parte. La sentenza 234/2020 della Corte costituzionale, infatti, ha giudicato illegittima la durata quinquennale del contributo di solidarietà sulle pensioni di importo superiore ai 100.000 euro lordi l’anno, riducendola a un triennio.
Oggi come in passato, continuiamo a fare sentire la nostra voce con l’obiettivo di contrastare gli effetti di una Manovra iniqua che pesa su chi ha già dato molto.
Sarà mia cura aggiornarvi puntualmente sullo stato di avanzamento delle varie iniziative.
Cordiali saluti,
Il Presidente
Stefano Cuzzilla